La “Questione d’Oriente”

Economia

Il confronto tra le potenze europee sul destino dell’Impero ottomano aveva naturalmente anche dei risvolti economici, spesso fortemente intrecciati a quelli strategici. Le ragioni che spingevano gli imperi confinanti di Russia e Austria-Ungheria ad accelerare il disfacimento del colosso turco erano infatti da un lato economiche – l’acquisizione di nuovi territori da sfruttare – dall’altro strategiche.
L’Impero asburgico, formato da una moltitudine di popoli differenti (tra i quali gli slavi costituivano un’importante minoranza), era interessato a inglobare entro i propri confini tutti gli slavi meridionali stanziati nei Balcani, in modo da poterle tenere sotto controllo e soffocare l’insorgere di spinte nazionaliste che minacciavano di innescare un pericoloso effetto a catena e portare alla frantumazione dell’impero. La Russia invece puntava al controllo dello Stretto dei Dardanelli, che avrebbe consentito di aprire sulle acque calde del Mediterraneo nuove rotte marittime di grande importanza tanto sul piano commerciale quanto su quello militare.
Le potenze interessate alla conservazione dell’Impero ottomano avevano anch’esse motivazioni economiche e strategiche. Il governo di Londra era allarmato dalla prospettiva della presenza russa nel Mare Mediterraneo, la cui importanza (specie dopo l’apertura del canale di Suez) era diventata essenziale per i collegamenti con i possedimenti britannici in India. Il governo di Parigi temeva invece il mutamento degli equilibri di potenza sul continente europeo derivato da un’espansione territoriale austriaca nei Balcani, che avrebbe portato a un consistente rafforzamento dell’impero asburgico. Tanto la Francia quanto l’Inghilterra si impegnarono quindi nel sostenere il governo di Istanbul non solo sul piano militare, ma anche tramite massicci investimenti economici, volti a favorire la modernizzazione dell’impero e a migliorarne la situazione finanziaria.